Aosta

Jessica
Aosta

Visite turistiche

Appena passato il ponte sul torrente Buthier, lungo la strada che portava alla monumentale Porta Praetoria, principale via di accesso alla città romana, fu innalzato l’arco onorario dedicato all’imperatore Augusto Si trattava di un segno eloquente della presenza e della potenza di Roma che nel 25 a.C. aveva definitivamente sconfitto il popolo dei Salassi e fondato la nuova colonia. L’arco, che si caratterizza per la sua severa imponenza, tipica dell’architettura del tardo periodo repubblicano, è a un solo fornice a tutto sesto, largo metri 8,29 come la strada che lo attraversava. I pilastri che lo fiancheggiano presentano ai quattro angoli delle semicolonne su basi attiche sormontate da capitelli corinzi, le stesse che scompartiscono le facciate e i lati. In origine queste superfici erano interrotte dai rilievi con probabile figurazione a trofei che erano collocati nelle quattro nicchie della facciata. Una trabeazione dorica a triglifi e metope chiude in alto quel che rimane del monumento, da secoli privo dell’attico sul quale era apposta, a lettere di bronzo, l’iscrizione dedicatoria. Nel medioevo l’Arco era denominato “Saint-Vout” da una immagine del Salvatore che vi era stata collocata e sostituita in seguito col Crocifisso. Nel 1716 il Conseil des Commis decise di preservare il monumento dalle infiltrazioni d’acqua ricoprendolo con un tetto d’ardesia. L’Arco fu definitivamente restaurato dal negli anni 1912-1913; uno scavo nelle sue vicinanze, risalente ai primi anni del ‘900, portò alla luce due grandi lettere in bronzo dorato, con tutta probabilità appartenenti all’iscrizione dedicatoria. Monumento simbolo della città di Aosta Uno dei punti di partenza per la visita a piedi della città
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Arch of Augustus
Piazza Arco D'Augusto
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Appena passato il ponte sul torrente Buthier, lungo la strada che portava alla monumentale Porta Praetoria, principale via di accesso alla città romana, fu innalzato l’arco onorario dedicato all’imperatore Augusto Si trattava di un segno eloquente della presenza e della potenza di Roma che nel 25 a.C. aveva definitivamente sconfitto il popolo dei Salassi e fondato la nuova colonia. L’arco, che si caratterizza per la sua severa imponenza, tipica dell’architettura del tardo periodo repubblicano, è a un solo fornice a tutto sesto, largo metri 8,29 come la strada che lo attraversava. I pilastri che lo fiancheggiano presentano ai quattro angoli delle semicolonne su basi attiche sormontate da capitelli corinzi, le stesse che scompartiscono le facciate e i lati. In origine queste superfici erano interrotte dai rilievi con probabile figurazione a trofei che erano collocati nelle quattro nicchie della facciata. Una trabeazione dorica a triglifi e metope chiude in alto quel che rimane del monumento, da secoli privo dell’attico sul quale era apposta, a lettere di bronzo, l’iscrizione dedicatoria. Nel medioevo l’Arco era denominato “Saint-Vout” da una immagine del Salvatore che vi era stata collocata e sostituita in seguito col Crocifisso. Nel 1716 il Conseil des Commis decise di preservare il monumento dalle infiltrazioni d’acqua ricoprendolo con un tetto d’ardesia. L’Arco fu definitivamente restaurato dal negli anni 1912-1913; uno scavo nelle sue vicinanze, risalente ai primi anni del ‘900, portò alla luce due grandi lettere in bronzo dorato, con tutta probabilità appartenenti all’iscrizione dedicatoria. Monumento simbolo della città di Aosta Uno dei punti di partenza per la visita a piedi della città
Il monumento si trova tra via Sant’Anselmo e via Porta Praetoria. Situata nella parte orientale delle mura, era l’accesso principale alla città di Augusta Praetoria, edificata nel 25 a.C. dopo la sconfitta dei Salassi ad opera di Terenzio Varrone. Era dotata di tre aperture, ancor oggi visibili: quella centrale per i carri e quelle laterali per i pedoni. L’area all’interno delle aperture era utilizzata come cortile d’armi; nella sua parte meridionale, il terreno è stato scavato fino a raggiungere il presunto livello del suolo in epoca romana (circa due metri al di sotto del livello attuale – la differenza è dovuta ai materiali traspostati dalle piene fluviali). Nelle aperture rivolte all’esterno sono ancora visibili le scanalature entro cui correvano le cancellate che di notte venivano calate. Nella facciata orientale sono ancora visibili alcune delle lastre di marmo che rivestivano l’intero monumento, che all’interno è costituito di blocchi di puddinga. Nel Medioevo fu addossata alla Porta Praetoria una cappella dedicata alla Santissima Trinità (ora non ne resta che una nicchia), da cui prese nome, per diversi secoli, anche la stessa Porta Praetoria. Una delle Porte romane meglio conservate Perfettamente integrata nel centro città e ad accesso gratuito
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Porta Pretoria
Piazza Porta Pretoria
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Il monumento si trova tra via Sant’Anselmo e via Porta Praetoria. Situata nella parte orientale delle mura, era l’accesso principale alla città di Augusta Praetoria, edificata nel 25 a.C. dopo la sconfitta dei Salassi ad opera di Terenzio Varrone. Era dotata di tre aperture, ancor oggi visibili: quella centrale per i carri e quelle laterali per i pedoni. L’area all’interno delle aperture era utilizzata come cortile d’armi; nella sua parte meridionale, il terreno è stato scavato fino a raggiungere il presunto livello del suolo in epoca romana (circa due metri al di sotto del livello attuale – la differenza è dovuta ai materiali traspostati dalle piene fluviali). Nelle aperture rivolte all’esterno sono ancora visibili le scanalature entro cui correvano le cancellate che di notte venivano calate. Nella facciata orientale sono ancora visibili alcune delle lastre di marmo che rivestivano l’intero monumento, che all’interno è costituito di blocchi di puddinga. Nel Medioevo fu addossata alla Porta Praetoria una cappella dedicata alla Santissima Trinità (ora non ne resta che una nicchia), da cui prese nome, per diversi secoli, anche la stessa Porta Praetoria. Una delle Porte romane meglio conservate Perfettamente integrata nel centro città e ad accesso gratuito
La sola facciata attualmente visibile è quella meridionale, alta ben 22 metri, caratterizzata da una serie di contrafforti e di arcate ed alleggerita da tre ordini sovrapposti di finestre di varia forma e dimensione. Ben individuabili sono pure le gradinate ad emiciclo che ospitavano gli spettatori (cavea), l’orchestra (il cui raggio è di 10 metri), ed il muro di scena (ora ridotto alle sole fondamenta) che un tempo si innalzava col suo ricco prospetto ornato di colonne, di marmi e di statue. Si è calcolato che il Teatro potesse contenere tre o quattromila spettatori. Alcuni studiosi ritengono che il teatro fosse dotato di copertura fissa. Con la caduta dell’impero, fino sino al XVIII sec. si perse ogni memoria della funzione originaria dell’edificio ed i suoi resti non furono riconosciuti come tali che molto tardi: durante il Medioevo vi furono addossate numerose costruzioni, demolite nel corso dei moderni lavori di recupero e restauro. Nel 1864 alcuni saggi di scavo portarono alla luce una serie di muri, mentre negli anni ‘20 del Novecento si diede una prima sistemazione al monumento, demolendo le casupole che lo circondavano. La completa messa in luce avvenne però tra il 1933 e il 1941, quando furono effettuati importanti lavori di restauro e integrazione. Le ultime ricerche condotte sulle murature hanno permesso di ipotizzare che le strutture attualmente visibili non siano nate tutte in prima fase (I sec. a.C.), ma che siano il frutto di successive modificazioni avvenute ancora in epoca antica.
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Roman Theatre
1 Via Baillage
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La sola facciata attualmente visibile è quella meridionale, alta ben 22 metri, caratterizzata da una serie di contrafforti e di arcate ed alleggerita da tre ordini sovrapposti di finestre di varia forma e dimensione. Ben individuabili sono pure le gradinate ad emiciclo che ospitavano gli spettatori (cavea), l’orchestra (il cui raggio è di 10 metri), ed il muro di scena (ora ridotto alle sole fondamenta) che un tempo si innalzava col suo ricco prospetto ornato di colonne, di marmi e di statue. Si è calcolato che il Teatro potesse contenere tre o quattromila spettatori. Alcuni studiosi ritengono che il teatro fosse dotato di copertura fissa. Con la caduta dell’impero, fino sino al XVIII sec. si perse ogni memoria della funzione originaria dell’edificio ed i suoi resti non furono riconosciuti come tali che molto tardi: durante il Medioevo vi furono addossate numerose costruzioni, demolite nel corso dei moderni lavori di recupero e restauro. Nel 1864 alcuni saggi di scavo portarono alla luce una serie di muri, mentre negli anni ‘20 del Novecento si diede una prima sistemazione al monumento, demolendo le casupole che lo circondavano. La completa messa in luce avvenne però tra il 1933 e il 1941, quando furono effettuati importanti lavori di restauro e integrazione. Le ultime ricerche condotte sulle murature hanno permesso di ipotizzare che le strutture attualmente visibili non siano nate tutte in prima fase (I sec. a.C.), ma che siano il frutto di successive modificazioni avvenute ancora in epoca antica.
Si è molto discusso sulla specifica destinazione di questo monumento che è datato all’epoca augustea; suo scopo principale era di costituire una struttura di contenimento e di regolarizzazione del terreno che in quella zona della città doveva essere in leggera pendenza da nord a sud e creava un dislivello tra l’area sacra e l’adiacente platea forense. Oltre a questa sicura funzione strutturale, è stata nel tempo avanzata l’ipotesi che la parte seminterrata potesse servire da magazzino e da granaio militare (horreum), ma in seguito agli ultimi studi ci si sente di escludere radicalmente tale destinazione d’uso, sia per l’aspetto strutturale del monumento, sia per la sua particolare ubicazione, sia in seguito al confronto con altri esemplari analoghi. Il colonnato marmoreo (porticus triplex) che lo sovrastava (ormai distrutto e del quale non rimangono evidenze archeologiche in situ) fungeva invece da scenografica cornice ai due originari templi gemelli della terrazza sacra. Ci troviamo qui nel settore nord del complesso forense di età romana, proprio di fronte all’ingresso della Cattedrale, in corrispondenza di un’area sacra sopraelevata, a sua volta divisa da quella a destinazione civile e commerciale (piazza Severino Caveri), grazie al passaggio di un decumano minore, all’incirca corrispondente all’attuale via Mons. De Sales. Dal punto di vista tecnico-planimetrico il criptoportico di Aosta si articola in tre bracci disposti a ferro di cavallo e internamente divisi in due navate voltate a botte con una sequenza centrale di archi ribassati. I due bracci laterali misurano m 71,80; quello centrale, più esteso, raggiunge una lunghezza interna di m 87,10. In origine due accessi monumentali dovevano aprirsi alle estremità delle ali laterali aprendosi ai lati della scalinata centrale. Le gallerie sono illuminate da una serie di finestrelle strombate che assicurano anche un idoneo ricambio d’aria; nel corso dell’anno la temperatura all’interno del criptoportico si mantiene costante. Confrontato con tutti quei casi, vecchi e nuovi, italici e provinciali, che la letteratura archeologica ha definito e continua a definire come esempi di criptoportico pubblico, in particolar modo forense, anche l’esemplare aostano potrebbe essere interpretabile come una struttura di prestigio legata tanto al culto imperiale, quanto all’autocelebrazione dei notabili locali così come delle corporazioni religiose o professionali cittadine. E’ pertanto legittimo supporre che i criptoportici possano essere letti come ambienti dotati di una funzione politico-liturgica particolare: una sorta di luogo “cerniera” tra il sacro (l’area sacra e i relativi edifici templari) ed il profano (cioè la vera e propria “pubblica piazza”). Come sembrano poi documentare alcune carte medievali, le strutture del Criptoportico continuarono ad essere utilizzate anche nei secoli successivi, quando vennero trasformate in cantine e denominate, per consuetudine popolare, “Marché des Romains”.
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Cryptoporticus Forense
Piazza Papa Giovanni XXIII
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Si è molto discusso sulla specifica destinazione di questo monumento che è datato all’epoca augustea; suo scopo principale era di costituire una struttura di contenimento e di regolarizzazione del terreno che in quella zona della città doveva essere in leggera pendenza da nord a sud e creava un dislivello tra l’area sacra e l’adiacente platea forense. Oltre a questa sicura funzione strutturale, è stata nel tempo avanzata l’ipotesi che la parte seminterrata potesse servire da magazzino e da granaio militare (horreum), ma in seguito agli ultimi studi ci si sente di escludere radicalmente tale destinazione d’uso, sia per l’aspetto strutturale del monumento, sia per la sua particolare ubicazione, sia in seguito al confronto con altri esemplari analoghi. Il colonnato marmoreo (porticus triplex) che lo sovrastava (ormai distrutto e del quale non rimangono evidenze archeologiche in situ) fungeva invece da scenografica cornice ai due originari templi gemelli della terrazza sacra. Ci troviamo qui nel settore nord del complesso forense di età romana, proprio di fronte all’ingresso della Cattedrale, in corrispondenza di un’area sacra sopraelevata, a sua volta divisa da quella a destinazione civile e commerciale (piazza Severino Caveri), grazie al passaggio di un decumano minore, all’incirca corrispondente all’attuale via Mons. De Sales. Dal punto di vista tecnico-planimetrico il criptoportico di Aosta si articola in tre bracci disposti a ferro di cavallo e internamente divisi in due navate voltate a botte con una sequenza centrale di archi ribassati. I due bracci laterali misurano m 71,80; quello centrale, più esteso, raggiunge una lunghezza interna di m 87,10. In origine due accessi monumentali dovevano aprirsi alle estremità delle ali laterali aprendosi ai lati della scalinata centrale. Le gallerie sono illuminate da una serie di finestrelle strombate che assicurano anche un idoneo ricambio d’aria; nel corso dell’anno la temperatura all’interno del criptoportico si mantiene costante. Confrontato con tutti quei casi, vecchi e nuovi, italici e provinciali, che la letteratura archeologica ha definito e continua a definire come esempi di criptoportico pubblico, in particolar modo forense, anche l’esemplare aostano potrebbe essere interpretabile come una struttura di prestigio legata tanto al culto imperiale, quanto all’autocelebrazione dei notabili locali così come delle corporazioni religiose o professionali cittadine. E’ pertanto legittimo supporre che i criptoportici possano essere letti come ambienti dotati di una funzione politico-liturgica particolare: una sorta di luogo “cerniera” tra il sacro (l’area sacra e i relativi edifici templari) ed il profano (cioè la vera e propria “pubblica piazza”). Come sembrano poi documentare alcune carte medievali, le strutture del Criptoportico continuarono ad essere utilizzate anche nei secoli successivi, quando vennero trasformate in cantine e denominate, per consuetudine popolare, “Marché des Romains”.
Piazza Émile Chanoux è la piazza principale di Aosta. È situata nella zona centrale della città e ha forma di rettangolo coi lati lunghi esposti a nord e sud. Da essa partono via Jean-Baptiste de Tillier, via porta Prætoria, via Hôtel des États, via Xavier de Maistre e viale Conseil des Commis
Piazza Emile Chanoux
Piazza Émile Chanoux
Piazza Émile Chanoux è la piazza principale di Aosta. È situata nella zona centrale della città e ha forma di rettangolo coi lati lunghi esposti a nord e sud. Da essa partono via Jean-Baptiste de Tillier, via porta Prætoria, via Hôtel des États, via Xavier de Maistre e viale Conseil des Commis
L’odierna piazza Giovanni XXIII sorge sulla parte meridionale di quella che al tempo di Augusta Praetoria era l’area sacra del Foro romano, delimitata dal criptoportico. La cruciale importanza che questa zona rivestiva per la vita della città, non venne meno nei secoli che videro il progressivo declino e la fine di quello che fu il mondo romano: ad est del criptoportico infatti, sorse il primo edificio dedicato al culto cristiano. In questo complesso preesistente, sorse verso la fine del IV secolo la Cattedrale. Si trattava di un edificio di imponenti dimensioni, ad un’unica navata absidata, dotato di un battistero ad ovest e di vari locali annessi, uno dei quali destinato a battistero secondario. La facciata si trovava a pochi metri dalle strutture del braccio orientale del criptoportico ed era praticamente collegata a questo dalle strutture del battistero principale. Questo complesso, al quale vennero ad aggiungersi alcuni vani meridionali destinati a residenza episcopale o ad abitazioni del clero, restò in uso per più secoli ed il suo aspetto non venne significativamente modificato, salvo una fase costruttiva altomedievale, sino al grande cantiere romanico che diede alla Cattedrale l’aspetto che sostanzialmente conserva ancora oggi. A questa fase dell’XI secolo risale anche l’importante ciclo di affreschi che sono stati riportati alla luce nel sottotetto della chiesa: assieme a quelli di Sant’Orso, fanno di Aosta uno dei principali centri di arte Ottoniana in Europa. Nella seconda metà dell’XI secolo venne completamente rifatto il corpo di fabbrica occidentale che risultò composto da due torri e da un’abside centrale aggettante; nel XIII secolo vennero abbattute due delle cinque absidi originarie e realizzato il deambulatorio, un corridoio anulare attorno al coro. Tra il XV ed i primi anni del XVI secolo, poi, i vescovi di Aosta promossero un radicale restauro della chiesa e la arricchirono di numerose opere d’arte. L’alto coro, dominato da un crocifisso ligneo del XIV secolo, presenta due ordini di stalli scolpiti verso il 1460; sul pavimento sono visibili due mosaici del XII e del XIV secolo, che rappresentano rispettivamente i mesi dell’anno e una serie di animali reali e fantastici assieme ai fiumi Tigri ed Eufrate. L’altare maggiore è barocco, in marmo nero con intarsi multicolori. Scendendo dal coro, due scale, una a destra e l’altra a sinistra, danno accesso alla cripta dell’XI secolo; la sua pianta è articolata in tre navate separate da agili colonnine medievali e da più robuste colonne romane di reimpiego. Sulla parete di fondo sono visibili le entrate originarie poste ad ovest. La facciata della Cattedrale si compone di due parti distinte: un atrio cinquecentesco ed una fronte neoclassica aggiunta nel 1848. L’atrio presenta un elegante prospetto architettonico in cotto, ornato da statue e da affreschi raffiguranti scene della vita della Vergine cui la chiesa è dedicata, bell’esempio di arte rinascimentale in Valle d’Aosta. Attiguo alla chiesa, sul lato settentrionale, si trova il chiostro. Si tratta di un edificio a pianta trapezoidale terminato nel 1460 che venne a sostituirne uno analogo che già esisteva nell’XI secolo. I suoi elementi architettonici sono caratterizzati dalla presenza di materiali diversi: il bardiglio grigio, usato per i pilastri, si alterna al gesso cristallino dei capitelli e al calcare, utilizzato per i conci degli archi. I capitelli sono di due tipi: alcuni sono decorati con motivi vegetali e figure di uomini e animali, altri recano scolpiti i nomi di coloro che contribuirono alla costruzione. Nello spiazzo centrale si erge una colonna romana sormontata da un capitello corinzio, probabili testimonianze della vicina area forense. Verso il 1860 l’ala meridionale del chiostro venne in gran parte demolita per lasciare spazio alla neogotica cappella del Rosario.
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Aosta Cathedral
Piazza Papa Giovanni XXIII
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L’odierna piazza Giovanni XXIII sorge sulla parte meridionale di quella che al tempo di Augusta Praetoria era l’area sacra del Foro romano, delimitata dal criptoportico. La cruciale importanza che questa zona rivestiva per la vita della città, non venne meno nei secoli che videro il progressivo declino e la fine di quello che fu il mondo romano: ad est del criptoportico infatti, sorse il primo edificio dedicato al culto cristiano. In questo complesso preesistente, sorse verso la fine del IV secolo la Cattedrale. Si trattava di un edificio di imponenti dimensioni, ad un’unica navata absidata, dotato di un battistero ad ovest e di vari locali annessi, uno dei quali destinato a battistero secondario. La facciata si trovava a pochi metri dalle strutture del braccio orientale del criptoportico ed era praticamente collegata a questo dalle strutture del battistero principale. Questo complesso, al quale vennero ad aggiungersi alcuni vani meridionali destinati a residenza episcopale o ad abitazioni del clero, restò in uso per più secoli ed il suo aspetto non venne significativamente modificato, salvo una fase costruttiva altomedievale, sino al grande cantiere romanico che diede alla Cattedrale l’aspetto che sostanzialmente conserva ancora oggi. A questa fase dell’XI secolo risale anche l’importante ciclo di affreschi che sono stati riportati alla luce nel sottotetto della chiesa: assieme a quelli di Sant’Orso, fanno di Aosta uno dei principali centri di arte Ottoniana in Europa. Nella seconda metà dell’XI secolo venne completamente rifatto il corpo di fabbrica occidentale che risultò composto da due torri e da un’abside centrale aggettante; nel XIII secolo vennero abbattute due delle cinque absidi originarie e realizzato il deambulatorio, un corridoio anulare attorno al coro. Tra il XV ed i primi anni del XVI secolo, poi, i vescovi di Aosta promossero un radicale restauro della chiesa e la arricchirono di numerose opere d’arte. L’alto coro, dominato da un crocifisso ligneo del XIV secolo, presenta due ordini di stalli scolpiti verso il 1460; sul pavimento sono visibili due mosaici del XII e del XIV secolo, che rappresentano rispettivamente i mesi dell’anno e una serie di animali reali e fantastici assieme ai fiumi Tigri ed Eufrate. L’altare maggiore è barocco, in marmo nero con intarsi multicolori. Scendendo dal coro, due scale, una a destra e l’altra a sinistra, danno accesso alla cripta dell’XI secolo; la sua pianta è articolata in tre navate separate da agili colonnine medievali e da più robuste colonne romane di reimpiego. Sulla parete di fondo sono visibili le entrate originarie poste ad ovest. La facciata della Cattedrale si compone di due parti distinte: un atrio cinquecentesco ed una fronte neoclassica aggiunta nel 1848. L’atrio presenta un elegante prospetto architettonico in cotto, ornato da statue e da affreschi raffiguranti scene della vita della Vergine cui la chiesa è dedicata, bell’esempio di arte rinascimentale in Valle d’Aosta. Attiguo alla chiesa, sul lato settentrionale, si trova il chiostro. Si tratta di un edificio a pianta trapezoidale terminato nel 1460 che venne a sostituirne uno analogo che già esisteva nell’XI secolo. I suoi elementi architettonici sono caratterizzati dalla presenza di materiali diversi: il bardiglio grigio, usato per i pilastri, si alterna al gesso cristallino dei capitelli e al calcare, utilizzato per i conci degli archi. I capitelli sono di due tipi: alcuni sono decorati con motivi vegetali e figure di uomini e animali, altri recano scolpiti i nomi di coloro che contribuirono alla costruzione. Nello spiazzo centrale si erge una colonna romana sormontata da un capitello corinzio, probabili testimonianze della vicina area forense. Verso il 1860 l’ala meridionale del chiostro venne in gran parte demolita per lasciare spazio alla neogotica cappella del Rosario.
La chiesa Lo scavo archeologico, condotto in più lotti tra il 1976 e il 1999, ha permesso di ripercorrere le vicende costruttive dell’edificio. Le indagini hanno interessato un’area che in antichità faceva parte di una vasta necropoli extraurbana dove, agli inizi del V secolo, sorse un complesso paleocristiano che comprendeva anche la chiesa cruciforme di S. Lorenzo. Al centro della navata sud si è rinvenuto il basamento di un edificio funerario databile tra IV e V sec. d.C.; la chiesa primitiva, sorta a nord di questo mausoleo, era costituita da una semplice aula absidata circondata da un porticato destinato a sepolture privilegiate. Nel IX secolo, la chiesa viene completamente ricostruita e ingrandita, spostando verso sud l’asse generale dell’edificio; l’estremità orientale è dotata di tre absidi, mentre la facciata è ricostruita a ovest di quella paleocristiana. Nel 989 si aggiunge alla facciata un campanile i cui resti sono ancora visibili per un’altezza di circa 15 m. All’inizio dell’XI secolo, viene costruita la chiesa romanica che ingloba il campanile nella nuova facciata, malgrado la sua posizione sia eccentrica rispetto all’asse longitudinale della nuova chiesa. L’edificio è a pianta basilicale, diviso in tre navate concluse da absidi semicircolari. L’attuale torre campanaria, costruita nel XII secolo, apparteneva originariamente ad un sistema difensivo costituito da una cinta muraria e da una seconda torre di grandi dimensioni, i cui resti sono stati scoperti addossati al muro perimetrale nord della chiesa. I resti archeologici non sono visibili perché situati immediatamente al di sotto del pavimento della chiesa. Da segnalare il bellissimo coro ligneo quattrocentesco, l’antica cripta e l’importante ciclo di affreschi (sec. XI) visibile nel sottotetto della chiesa. Lo scavo archeologico del coro della chiesa di S. Orso ha permesso di riportare alla luce un mosaico pavimentale di forma quadrata, sconosciuto e non menzionato dalle fonti, realizzato con tessere bianche e nere con alcuni inserti di tessere di colore marrone chiaro. Una serie di sei cerchi, inscritti nel quadrato, funge da cornice alle decorazioni centrali. Nel medaglione centrale appare un’elegante rappresentazione di Sansone che uccide il leone. Il chiostro Il chiostro è il gioiello del complesso monumentale di Sant’Orso cui si accede da un androne aperto sulla destra della facciata. Il primitivo impianto romanico risale quasi certamente al 1132 e fu opera di maestranze provenzali o lombarde; quando la bolla di Papa Innocenzo II impose la regola di Sant’Agostino ai canonici di Sant’Orso il chiostro esisteva già, come risulta da un’iscrizione apposta sopra un capitello. I capitelli, scolpiti in marmo ma rivestiti già in tempi antichi di vernice scura, completano colonne semplici e binate dalle forme diverse e raffigurano mirabilmente scene simboliche del Nuovo e Vecchio Testamento, della vita di Sant’Orso, personaggi e animali fantastici o contengono elementi decorativi diversi. Sono considerati fra le più alte espressioni della scultura romanica religiosa.
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Sant'Orso
14 Via Sant'Orso
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La chiesa Lo scavo archeologico, condotto in più lotti tra il 1976 e il 1999, ha permesso di ripercorrere le vicende costruttive dell’edificio. Le indagini hanno interessato un’area che in antichità faceva parte di una vasta necropoli extraurbana dove, agli inizi del V secolo, sorse un complesso paleocristiano che comprendeva anche la chiesa cruciforme di S. Lorenzo. Al centro della navata sud si è rinvenuto il basamento di un edificio funerario databile tra IV e V sec. d.C.; la chiesa primitiva, sorta a nord di questo mausoleo, era costituita da una semplice aula absidata circondata da un porticato destinato a sepolture privilegiate. Nel IX secolo, la chiesa viene completamente ricostruita e ingrandita, spostando verso sud l’asse generale dell’edificio; l’estremità orientale è dotata di tre absidi, mentre la facciata è ricostruita a ovest di quella paleocristiana. Nel 989 si aggiunge alla facciata un campanile i cui resti sono ancora visibili per un’altezza di circa 15 m. All’inizio dell’XI secolo, viene costruita la chiesa romanica che ingloba il campanile nella nuova facciata, malgrado la sua posizione sia eccentrica rispetto all’asse longitudinale della nuova chiesa. L’edificio è a pianta basilicale, diviso in tre navate concluse da absidi semicircolari. L’attuale torre campanaria, costruita nel XII secolo, apparteneva originariamente ad un sistema difensivo costituito da una cinta muraria e da una seconda torre di grandi dimensioni, i cui resti sono stati scoperti addossati al muro perimetrale nord della chiesa. I resti archeologici non sono visibili perché situati immediatamente al di sotto del pavimento della chiesa. Da segnalare il bellissimo coro ligneo quattrocentesco, l’antica cripta e l’importante ciclo di affreschi (sec. XI) visibile nel sottotetto della chiesa. Lo scavo archeologico del coro della chiesa di S. Orso ha permesso di riportare alla luce un mosaico pavimentale di forma quadrata, sconosciuto e non menzionato dalle fonti, realizzato con tessere bianche e nere con alcuni inserti di tessere di colore marrone chiaro. Una serie di sei cerchi, inscritti nel quadrato, funge da cornice alle decorazioni centrali. Nel medaglione centrale appare un’elegante rappresentazione di Sansone che uccide il leone. Il chiostro Il chiostro è il gioiello del complesso monumentale di Sant’Orso cui si accede da un androne aperto sulla destra della facciata. Il primitivo impianto romanico risale quasi certamente al 1132 e fu opera di maestranze provenzali o lombarde; quando la bolla di Papa Innocenzo II impose la regola di Sant’Agostino ai canonici di Sant’Orso il chiostro esisteva già, come risulta da un’iscrizione apposta sopra un capitello. I capitelli, scolpiti in marmo ma rivestiti già in tempi antichi di vernice scura, completano colonne semplici e binate dalle forme diverse e raffigurano mirabilmente scene simboliche del Nuovo e Vecchio Testamento, della vita di Sant’Orso, personaggi e animali fantastici o contengono elementi decorativi diversi. Sono considerati fra le più alte espressioni della scultura romanica religiosa.
Regional Archaeological Museum
12 Piazza Pierre-Leonard Roncas
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Il sito archeologico L’area, riportata alla luce nel 1969, si estende per circa un ettaro e rivela uno dei più interessanti siti archeologici in Europa: suggestivamente scandite, significative testimonianze di quasi cinque millenni di storia, dai momenti finali del Neolitico ai giorni nostri. Il termine area megalitica è stato utilizzato per definire sinteticamente il ritrovamento di Aosta, che non presenta finora riscontri, all’infuori di quello, seppur parziale, con il sito di Sion, Petit-Chasseur, in Svizzera. Per “area megalitica” si intende una porzione di terreno, più o meno estesa ma ben delimitabile, nella quale sono presenti testimonianze monumentali megalitiche multiple e di tipo diverso. Non si tratta, infatti, di un semplice allineamento di menhir o di stele antropomorfe, oppure di una necropoli o di singole tombe dolmeniche: i ritrovamenti mostrano invece l’esistenza di un’area sacra destinata sin dall’inizio a essere sede di ricorrenti manifestazioni legate al culto e alla sepoltura. Sono state individuate cinque fasi strutturali che, a partire dal Neolitico recente (fine del V millennio a.C.) e attraverso tutta l’Età del Rame (IV-III millennio a.C.), giunge all’Età del Bronzo (II millennio a.C.). Configurata dapprima come un santuario all’aperto destinato al culto dei viventi, l’area assume solo negli ultimi secoli del III millennio funzioni funerarie, divenendo una necropoli privilegiata, con tombe monumentali di varia tipologia megalitica. In ordine cronologico sarà possibile apprezzare: le tracce di un’aratura propiziatoria (fine V millennnio a.C.) seguita dalla creazione di pozzi allineati sul cui fondo trovano posto offerte quali macine unite a resti frutti e cereali. In un momento successivo (inizi del III millennio a.C.) si ha l’allineamento di almeno 24 pali totemici in legno orientati da Nord Est a Sud Ovest progressivamente affiancati e poi sostituiti da più di 46 imponenti stele antropomorfe, prima vera manifestazione del megalitismo in quest’area, magistrali capolavori della statuaria preistorica. La destinazione d’uso dell’area si fa nettamente funeraria con la costruzione delle prime tombe megalitiche, probabilmente occupate da membri di eminenti famiglie della comunità, costruite totalmente fuori terra. Protagonista esemplare è la cosiddetta “Tomba 2”, eretta su un’insolita piattaforma triangolare di pietrame, utilizzata per quasi un millennio come sepoltura collettiva ospitante i resti di ben 39 individui. Il museo Il percorso espositivo dell’area megalitica di Aosta inizia con una discesa temporale dall’odierno alla preistoria: lungo un tragitto costellato da immagini riferite alla storia umana, le passerelle dall’ingresso del museo conducono il visitatore al livello del sito archeologico vero e proprio (a circa 6 metri sotto il livello stradale). Qui si apre allo sguardo un ambiente grandioso: l’effetto cercato è quello di una comprensione visiva emozionale dell’insieme, colto come complesso monumentale, modulato dall’illuminazione che muta gradatamente con riferimento alle diverse ore del giorno. Attraversando la dimensione del tempo, i toni delle luci colorano l’atmosfera che avvolge i reperti archeologici, il dolmen, le stele abbattute, le piattaforme, le tracce delle arature. La visita è un continuo affaccio sul sito archeologico, in una sorta di costante dialogo “interno-museo / esterno-sito”. Spiegazioni, approfondimenti e interpretazioni sono disponibili su apparati didattici e multimediali. L’itinerario si articola in sei sezioni, che seguono e ricostruiscono la periodizzazione del sito: la curva accogliente della cronologia termina indicando il passaggio alle arature, quindi ai pozzi, attraversando poi il lungo ambiente dedicato agli allineamenti di pali, per giungere alle stele antropomorfe e alla conclusiva fase delle tombe.
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Area megalitica di ​​Saint-Martin-de-Corléans (DALLA TERRA ALLA LUNAVedi POST)
258 Corso Saint Martin de Corleans
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Il sito archeologico L’area, riportata alla luce nel 1969, si estende per circa un ettaro e rivela uno dei più interessanti siti archeologici in Europa: suggestivamente scandite, significative testimonianze di quasi cinque millenni di storia, dai momenti finali del Neolitico ai giorni nostri. Il termine area megalitica è stato utilizzato per definire sinteticamente il ritrovamento di Aosta, che non presenta finora riscontri, all’infuori di quello, seppur parziale, con il sito di Sion, Petit-Chasseur, in Svizzera. Per “area megalitica” si intende una porzione di terreno, più o meno estesa ma ben delimitabile, nella quale sono presenti testimonianze monumentali megalitiche multiple e di tipo diverso. Non si tratta, infatti, di un semplice allineamento di menhir o di stele antropomorfe, oppure di una necropoli o di singole tombe dolmeniche: i ritrovamenti mostrano invece l’esistenza di un’area sacra destinata sin dall’inizio a essere sede di ricorrenti manifestazioni legate al culto e alla sepoltura. Sono state individuate cinque fasi strutturali che, a partire dal Neolitico recente (fine del V millennio a.C.) e attraverso tutta l’Età del Rame (IV-III millennio a.C.), giunge all’Età del Bronzo (II millennio a.C.). Configurata dapprima come un santuario all’aperto destinato al culto dei viventi, l’area assume solo negli ultimi secoli del III millennio funzioni funerarie, divenendo una necropoli privilegiata, con tombe monumentali di varia tipologia megalitica. In ordine cronologico sarà possibile apprezzare: le tracce di un’aratura propiziatoria (fine V millennnio a.C.) seguita dalla creazione di pozzi allineati sul cui fondo trovano posto offerte quali macine unite a resti frutti e cereali. In un momento successivo (inizi del III millennio a.C.) si ha l’allineamento di almeno 24 pali totemici in legno orientati da Nord Est a Sud Ovest progressivamente affiancati e poi sostituiti da più di 46 imponenti stele antropomorfe, prima vera manifestazione del megalitismo in quest’area, magistrali capolavori della statuaria preistorica. La destinazione d’uso dell’area si fa nettamente funeraria con la costruzione delle prime tombe megalitiche, probabilmente occupate da membri di eminenti famiglie della comunità, costruite totalmente fuori terra. Protagonista esemplare è la cosiddetta “Tomba 2”, eretta su un’insolita piattaforma triangolare di pietrame, utilizzata per quasi un millennio come sepoltura collettiva ospitante i resti di ben 39 individui. Il museo Il percorso espositivo dell’area megalitica di Aosta inizia con una discesa temporale dall’odierno alla preistoria: lungo un tragitto costellato da immagini riferite alla storia umana, le passerelle dall’ingresso del museo conducono il visitatore al livello del sito archeologico vero e proprio (a circa 6 metri sotto il livello stradale). Qui si apre allo sguardo un ambiente grandioso: l’effetto cercato è quello di una comprensione visiva emozionale dell’insieme, colto come complesso monumentale, modulato dall’illuminazione che muta gradatamente con riferimento alle diverse ore del giorno. Attraversando la dimensione del tempo, i toni delle luci colorano l’atmosfera che avvolge i reperti archeologici, il dolmen, le stele abbattute, le piattaforme, le tracce delle arature. La visita è un continuo affaccio sul sito archeologico, in una sorta di costante dialogo “interno-museo / esterno-sito”. Spiegazioni, approfondimenti e interpretazioni sono disponibili su apparati didattici e multimediali. L’itinerario si articola in sei sezioni, che seguono e ricostruiscono la periodizzazione del sito: la curva accogliente della cronologia termina indicando il passaggio alle arature, quindi ai pozzi, attraversando poi il lungo ambiente dedicato agli allineamenti di pali, per giungere alle stele antropomorfe e alla conclusiva fase delle tombe.